Mi chiamo Viola ed entro in ospedale per partorire. Aspetto da nove lunghi mesi questo momento in cui finalmente potrò incontrare gli occhi del mio bambino. Mi sono preparata a questo cambiamento anche se qualche ora dopo scoprirò che non si è mai pronti per un evento che inevitabilmente sconvolge e stravolge così tanto la tua vita.
Nella vita ricopro diversi ruoli, tutti a me molto cari. Sono amica, compagna, figlia, lavoratrice appassionata. In ognuno di questi ambiti ho nomi o nomignoli che mi appartengono, che hanno a che fare con quello che sono in quel ruolo. Questa cosa mi piace molto, è come se sfaccettature della mia persona brillassero diversamente in diversi ambiti.
Entro in ospedale e mi chiamo ancora Viola, quel Viola che tiene insieme tutte le sfumature di me. Mi chiamano con quel nome e mi sembra una cosa calda e accogliente in quei momenti così concitati che stanno per segnare un prima e un dopo nella mia vita.
Dopo. Dopo succede che tutto intorno è bellissimo ma confuso allo stesso tempo, ho una creaturina tra le braccia che mi guarda con due occhioni teneri e penso che si, sono diventata mamma. Scoprirò poi che per sentirmi davvero in quel ruolo passeranno diverse settimane.
Ma succede una cosa strana e bislacca: non mi chiamo più Viola. Per le persone che graviteranno intorno a me in quei giorni il mio nome diventa “mamma”, generico come le medicine, non la mamma di o mamma Viola, solo mamma.
E le tante Viole con cui sto condividendo quell’esperienza diventano mamme a loro volta, come se l’aver generato un figlio spazzasse via tutto il resto. Il messaggio che arrivava era: adesso sei mamma e solo mamma.
Certo, so che questa è la mia personale esperienza e so che per qualcuna quel “mamma” suona bellissimo, ed è giusto così. Ma non per tutte. In un momento in cui la tua identità e i tuoi ruoli si trovano improvvisamente a dover essere rimodellati può essere una sensazione anche fastidiosa.
So che non viene fatto con cattiveria, ma credo che proprio negli ambienti dove accadono cose così delicate, anche se belle, spersonalizzare può far sentire un po’ smarrite. Come se, in qualsiasi ambito della tua vita, invece di chiamarti per nome ti chiamassero “persona”.
Il nostro nome ci rappresenta e anche su quello poggia l’essenza di chi siamo.
Mamma Viola avrebbe avuto un suono migliore per me, avrebbe posto le basi da subito per quello che sarebbe diventato in seguito.
Sono stata “mamma” fino alle dimissioni: “mamma puoi andare”. Ho risposto che li ringraziavo tanto perché si erano presi cura di noi. Ma che comunque mi chiamavo Viola 🙂
Se anche a voi è capitato o capiterà di provare una sensazione simile, provate a farlo presente, con delicatezza e pazienza: ogni cambiamento ha sempre un’origine e quello start può darlo ognunÉ™ di noi, regalando all’altrÉ™ uno spunto di riflessione per fare diversamente la prossima volta.