Emozioni, un tema centrale nella vita di ciascuno di noi, così amate, temute, evitate, ricercate, disprezzate o desiderate, ma sempre e comunque presenti. Cercando su internet la parola emozioni, Google vi suggerirà di completare la ricerca aggiungendo “Battisti”, “canzone”, “testo”. Sì, perché le emozioni sono da sempre l’aspetto della vita più cantato nella musica, quello maggiormente presente in letteratura, quello più espresso in ogni forma d’arte.
Spesso le emozioni vengono considerate qualcosa di contrapposto alla ragione, partendo dall’idea che sentire e pensare siano due attività mentali separate e a volte in conflitto tra loro. Una sorta di lotta tra “mente calda” e “mente fredda” destinata a non estinguersi mai. Così possiamo identificarci tra coloro che riescono a non farsi influenzare dalle emozioni, coloro che riescono a mantenere il sangue freddo, ad essere distaccati in ogni circostanza e che in questo modo possono prendere decisioni fondate sulla ragione, sulla logica, sull’analisi del problema. Oppure possiamo identificarci tra coloro che vivono di emozioni, di sensazioni, quelli che “al cuor non si comanda”.
DAL CONFLITTO AL CONNUBIO
In questa idea di conflitto inestinguibile, si insinua però una terza prospettiva, più complessa, che vede le emozioni non come un fattore distraente dalla ragione, ma al contrario come un elemento necessario e imprescindibile in tutte le attività mentali degli esseri umani. Le emozioni ci forniscono infatti i motivi per agire e apportano il loro contributo in particolare quando andiamo incontro a qualche snodo cruciale nelle nostre giornate, nelle nostre relazioni, nelle nostre vite. Così corpo e mente appaiono strettamente connessi, in un connubio indivisibile in cui l’espressione di un benessere o malessere emotivo può tradursi sul corpo e viceversa. Così dolori e disagi fisici possono essere l’espressione di un campanello emotivo che ci chiede ascolto e considerazione.
Nasce da qui la necessità di soffermarsi ad ascoltarle e a comprendere il significato che ogni emozione ha per noi. Comprendere l’esperienza che stiamo facendo, rileggerla, costruire nuovi significati e possibilità è proprio quello che ci permette, attraverso l’elaborazione, di riuscire a costruire un nostro nuovo modo di guardare a noi stessi, agli altri, al mondo che ci circonda.
QUANTE EMOZIONI CONOSCI?
Ognuno di noi ne ha un proprio repertorio, ogni emozione possiede uno specifico valore informativo in quanto portatrice d’indicazioni vitali rispetto alle esigenze e ai bisogni della persona in un dato momento, nelle relazioni con gli altri e con il mondo esterno.
Allora vale forse la pena fermarsi un attimo e chiedersi quanto siamo consapevoli delle nostre emozioni. Proviamo ad immaginare, ad esempio, una piccola problematica quotidiana che può capitare a chiunque. Abbiamo appena finito di fare la spesa, è quasi l’ora di chiusura del negozio, ci abbiamo messo un bel po’ di tempo, perché il supermercato questo sabato pomeriggio è davvero affollato. Siamo arrivati alla cassa, fortunatamente la fila scorre abbastanza velocemente, è il nostro turno, ma al momento in cui la cassiera ci dice il totale della spesa ci accorgiamo di non avere il portafoglio…no, non c’è, non abbiamo neanche un libretto degli assegni (chi lo usa più?), o una carta di credito, né qualcuno che possa venire in tempo prima della chiusura, non ci resta che lasciare la spesa.
Cosa proviamo? Qual è l’emozione che ci suscita l’immaginarci in una situazione di questo tipo?
Beh, le risposte potranno essere diverse, alcuni avranno provato imbarazzo nei confronti della cassiera, altri nei confronti degli altri clienti, qualcuno si sarà arrabbiato con se stesso, qualcuno probabilmente si sarebbe arrabbiato con la cassiera…tutte modalità strettamente personali di vivere lo stesso evento, tante modalità di risposta emotiva differenti ed ugualmente legittime. E se pensiamo a quell’emozione che ci è venuta in mente in questa situazione, è un’emozione che ci capita di provare raramente? O è l’emozione che più spesso entra in gioco quando affrontiamo piccole e grandi problematiche? Immagino che molti dei lettori potrebbero rispondere che è un’emozione che provano frequentemente quando sentono che qualcosa non va come si sarebbero aspettati o come pensano che dovrebbe andare. Questo accade proprio perché abbiamo imparato nella nostra vita che quel tipo di risposta emotiva è funzionale, è permessa, è lecita.
Nelle nostre famiglie spesso non tutte le emozioni godono della stessa dignità. Lo stile educativo genitoriale può influenzare il modo in cui, anche da adulti, ci permettiamo di viverle e di esprimerle. Ci sono famiglie in cui ci si arrabbia molto, si discute, si litiga, in cui però, ad esempio, è meno lecito mostrare tristezza, o piangere di fronte agli altri. In altre famiglie può prevalere il senso di imbarazzo, di vergogna, il non sentirsi adeguati alla situazione esterna. In altre ancora può essere considerato preferibile l’esprimere unicamente la gioia, il sorriso, anche quando non si sta poi così tanto bene. Le varianti possono essere infinite.
LA CHIAVE DEL CAMBIAMENTO
Così, possiamo imparare a sentire e ad esprimere alcune emozioni e stati d’animo, escludendone altri, anche senza esserne pienamente consapevoli. Possiamo arrivare ad aspettarci ad esempio che la vita sia fatta inevitabilmente di dolore, di tristezza o di rassegnazione, se queste sono le emozioni che più spesso abbiamo imparato a provare. E allora può diventare difficile anche concedersi la gioia, il piacere o la serenità. Tuttavia, questi aspetti, costruiti dalla nostra mente, non sono un destino immutabile, bensì qualcosa su cui ciascuno può agire attivamente.
Avere consapevolezza di cosa significhi per noi una certa emozione può permetterci di avere una maggiore comprensione delle nostre esperienze e di dare senso alla nostra vita. E quell’emozione che oggi chiamiamo “rabbia” o “paura” o “gioia” probabilmente non è la stessa emozione che da bambini, o dieci anni fa, chiamavamo con la stessa etichetta verbale. Probabilmente sarà diversa la sensazione che proviamo, sarà diverso il nostro modo di esprimerla agli altri, e sarà diverso ciò che decidiamo di fare in quei momenti. Questa consapevolezza non può che essere strettamente personale e individuale.
UN INVITO A COSTRUIRE UNO SGUARDO NUOVO
Se consideriamo le emozioni come un messaggio dei nostri organi di senso, al pari della vista, del tatto o dell’udito, che non possono prescindere dal nostro modo di essere, è maggiormente possibile considerare che non esistono di per sé emozioni lecite o emozioni da evitare, che ciascuno stato d’animo è legittimo e funzionale, anche quando è spiacevole. Anche il sentirsi tristi, il sentirsi a terra, l’essere arrabbiati con qualcuno o con sé stessi, il provare vergogna o imbarazzo. Proprio attraverso la capacità di riconoscersi e legittimarsi certi stati d’animo è possibile vivere e comprendere al meglio situazioni e relazioni e il nostro modo di sentirci in esse. In quest’ottica, risulta importante chiederci quali siano le emozioni che ci permettiamo di esprimere, e, da genitori, anche quali permettiamo ai nostri figli. Ciò ci porta a domandarci se il nostro approccio ad esse funzioni al meglio per noi, e se ci faccia stare bene, o se piuttosto ci faccia sentire ingabbiati in qualcosa che vorremmo fosse diverso, e di conseguenza può permetterci di scegliere di costruire un cambiamento verso nuove prospettive.