È incredibile quanto il mondo delle dating app e della sessualità si scontri ancora tanto con numerosi tabù e pregiudizi.
Se ci pensiamo, ancora oggi siamo convinti che certe pratiche sessuali siano da “nascondere“, oppure che certi atteggiamenti “vanno bene” mentre altri no, oppure ancora “non ci sentiamo pronti a confessare un certo piacere perché ci mette in difficoltà”. Tutto questo dipende dal fatto che anche la sessualità e i nostri comportamenti risentono della nostra cultura. Vi è mai capitato di pensare “ieri ho avuto questa esperienza assurda, che inaspettatamente mi è piaciuta, ma preferisco tenermela per me, perché altrimenti chissà cosa penserà l’amico x, l’amica y, il collega yx”. Oppure ancora “come posso aver avuto questa fantasia, allora vuol dire che sono malato/a!”, oppure “questa persona l’ho conosciuta tramite questa app ma all’amico di sempre evito di dirglielo, altrimenti chissà cosa pensa e cosa mi dice”.
In un articolo precedente vi avevo già parlato dell’utilizzo delle dating app concentrandomi sugli aspetti positivi e sulle potenzialità di questi strumenti all’interno del mondo della sessualità.
Oggi invece vorrei soffermarmi maggiormente su come ci fa sentire utilizzare questi strumenti: inevitabilmente le dating app entrano nel nostro mondo, nella nostra quotidianità, nelle nostre relazioni di tutti i giorni, pertanto spesso vengono lette e considerate attraverso la nostra lente culturale e sappiamo tutti ormai molto bene quanto la cultura ci condiziona e quanto giochi un ruolo fondamentale all’interno dei nostri pensieri, delle nostre credenze e anche dei nostri pregiudizi e preconcetti.
Pregiudizi legati alle app
Le app ci hanno davvero aperto tante possibilità e opportunità, ma siamo sicuri che anche i pregiudizi e la nostra cultura siano avanzati di pari passo con questa evoluzione?
Tanti sono ancora i preconcetti nei confronti di chi utilizza le app per incontri, e sembrano esserci anche differenze di genere e di età. Un uomo che utilizza le dating app può passare dall’essere definito un uomo sconcio e superficiale ad “un gran figo” oppure ancora uno sfigato “nerd”. Se si tratta invece di una donna può essere considerata “una poco di buono”, una “ragazza/donna facile”. Se si parla poi del genere femminile, si aggiungono anche i pregiudizi legati ad una donna che parla di sesso e che magari confessa di volersi “solo divertire”.
Questi e tanti altri pregiudizi, perché di giudizi a priori di tratta, spesso entrano prepotentemente senza chiedere permesso anche nelle nostre menti, generando senso di vergogna e facendo sentire non a proprio agio chi usa le dating app.
Alla domanda come ti fa sentire usarle, spesso la riposta è “sfigato/a, triste, disperato/a, che nessuno vuole”. Ma fermiamoci un attimo a pensare: cosa cambia dall’andare in discoteca nella speranza di incontrare qualcuno, scrutare qualsiasi uomo/donna che ti passa davanti guardando se è vestito/a bene, se ha i capelli come piacciono a te, sperare che sia single e provare ad abbordarlo/a al bancone del bar con la speranza di conquistarlo/a e “portartelo/a a casa”?
La differenza sta nel modo in cui lo facciamo, e per fortuna con l’avanzare del tempo, della tecnologia, della creatività possiamo sempre più sfruttare un maggior numero di modi per poterci incontrare, conoscere, divertirci.
Anche quelle che sono poi diventate coppie, e che si sono conosciute magari tramite le app, vanno spesso incontro a pregiudizi: eppure alcune ricerche recenti sembrano dimostrare come una relazione su tre oggi nasce online e come i dati aumentano quando ci riferiamo a coppie omosessuali. E quindi queste coppie “valgono meno” delle altre? Tante persone tendono a nascondere di aver conosciuto il partner tramite queste applicazioni proprio perché la credenza errata è che siano relazioni non durevoli, fallate, o poco serie.
Un altro pregiudizio che sembrano portare con se le dating app è che la “selezione” delle persone con cui si decide di parlare avviene tramite modalità frivole, in quanto ci si basa su una foto profilo e/o una breve descrizione di sé. Ma in fin dei conti non ci muoviamo nello stesso modo anche nella vita di tutti i giorni al bar, nelle feste, nelle discoteche? Può infatti capitare di “scartare” una persona solo perché indossa quel tipo di pantalone, oppure perché si presenta con ideali troppo lontani ai nostri, oppure ancora perché sappiamo che gli/le piace fare quella cosa in quel modo che per noi non va bene. Forse dunque non c’è poi così tanta differenza rispetto al passato, quando ancora queste app non erano state inventate.
E quindi? Cosa ce ne facciamo di questi pregiudizi e tabù?
Possiamo sentirci a nostro agio nell’usarle a qualsiasi età: che siamo giovani, adulti o ancora più adulti, sperimentiamo! Proviamo ad addentrarci in questo mondo, e se poi vediamo che non ci fa stare bene, se non ci piace il modo in cui ci si incontra, allora saremo sempre liberi di eliminare l’applicazione e farci una risata con la consapevolezza che quello strumento non fa per noi! Ma perché vietarsi a priori qualcosa che può farci divertire?
Le dating app nel mondo expat
Pensiamo anche nello specifico al mondo expat: per una persona che arriva in un nuovo paese, in cui non conosce nessuno, usare le dating app potrebbe essere davvero di grande aiuto! Può far sentire meno soli, può permettere di conoscere nuove persone e di comunicare con qualcuno, magari anche sperimentandosi nella nuova lingua ed addentrandosi sempre più nella cultura del posto.
Capita spesso infatti che appena arrivati in una nuova città si possa sentire il bisogno e il desiderio di conoscere persone, di creare nuovi punti di riferimento ma anche di trovare per esempio altre persone del nostro stesso paese per creare gruppo, sentire vicinanza e magari scambiarsi consigli.
I nostri expat spesso si ritrovano ad usare queste app anche solo per conoscere nuove persone, quindi sfatiamo anche un altro pregiudizio: questi strumenti non servono solo per incentivare incontri sessuali, ma anche per creare nuovi legami di qualsiasi natura!
“Gli uomini costruiscono troppi muri e mai abbastanza ponti” – Sir Isaac Newton
Rossella Bazzani
Psicologa e Psicoterapeuta