Spesso sentiamo dire che una delle regole del viaggio è non tornare come eravamo, ma tornare diversi.
Però che fatica quando rientri in Italia e le altre persone ti trattano come quella o quello che conoscevano e non come chi senti di essere oggi!
Questa è una fatica normale? Significa che non siamo cambiati e cambiate davvero? E’ un problema delle altre persone? … ma soprattutto: come si può stare dentro a questa sensazione di disagio (senza il rischio di esserne travolti e travolte)?
Pur non essendoci una ricetta universalmente valida, in questo articolo rifletteremo insieme sulla fatica tipica di quando qualcuno sembra non riconoscerci un cambiamento,con degli spunti che ci diano la sensazione di avere qualche strumento in più per affrontarla
Buona lettura!
“Ogni volta che rientro a casa per periodi di ferie rivedo vecchi amici e familiari, ma non riesco più a sentirmi me stesso come un tempo. In un decennio sono cambiato molto.. Gli altri lo vedono? Mi capiscono?”
Non sono certo io a doverlo spiegare, chi ha esperienza del partire per andare a vivere all’estero (ma talvolta è sufficiente anche un cambio di regione che porti a trasferirsi lontano da casa) sa che incontrare usi e costumi differenti, nuove reti di amicizie, una nuova lingua richiede spesso una certa flessibilità e una presa di contatto con aspetti di sé magari fino a quel momento dati per scontati, così come con nuove sfide personali.
All’inizio questo processo può richiedere un certo sforzo di adattamento ma poi, col tempo e con le ripetute “messe alla prova” a cui progressivamente si va incontro, gli esperimenti di vita prendono senso e la quotidianità inizia a girare in modo più naturale.
Si fa esperienza di se stessi in un contesto nuovo, ampliando la conoscenza che abbiamo di noi, scoprendo di essere “anche altro”, aggiungendo tasselli alla nostra immagine personale…
Insomma: si parte, si fa fatica, ci si riadatta e quando arriva l’occasione di tornare all’ovile…si fatica di nuovo!
Eh già, perché può capitare che nel ritorno in Italia, che sia per periodi di vacanza o per un nuovo trasferimento in terra natia, le emozioni siano ambivalenti e alcune esperienze davvero spiazzanti!
Discorsi con amici che non ci coinvolgono più come un tempo, la sensazione di essere gli unici diversi in mezzo ad altri rimasti tali e quali a come li abbiamo lasciati, relazioni con familiari che ci trattano come se le esperienze fatte, le persone conosciute non fossero mai esistite.
Nel momento in cui tutto ciò viene toccato con mano si può avere la sensazione di essere fuori posto, soprattutto quando ci sembra difficile portarci a casa il tanto che abbiamo conosciuto di noi in altri contesti.
Ma…deve essere necessariamente così? Talvolta si dà per scontato che i nostri comportamenti e atteggiamenti debbano andare in una sola direzione, la chiamiamo “coerenza”, “personalità definita”, “sicurezza”.
Eppure le cose potrebbero essere più complesse di così.
Noi non siamo mai qualcuno a prescindere dalle persone con cui ci confrontiamo, siamo una pluralità di sfumature, mettiamo in gioco diversi aspetti di noi a seconda delle persone con cui ci troviamo in relazione e con cui interagiamo. Non ci sono veri o falsi sé, ci siamo noi con tutta la nostra gamma di modi e comportamenti che vengono più facilmente sollecitati in alcuni contesti piuttosto che in altri.
Non per questo però le cose sono facili, anzi!
Istintivamente potremmo essere tentati di assecondare le richieste altrui per sottrarci alla sensazione di dispiacere, oppure a centellinare i rientri e i momenti di contatto nel tentativo di preservarci e affermarci nelle nostre nuove forme.
Sono possibilità che abbiamo, ma che alla lunga potrebbero portare lo scotto di sentirsi come frammentati, nutrendo insicurezze sulla bontà della propria crescita personale…. magari solo per il fatto che in certe situazioni non ci mettiamo più in gioco.
Ecco perché di seguito provo a proporre degli spunti per allargare il campo delle possibilità nella direzione di risponderci alla domanda “che cosa si può fare quando si vive una scomodità con chi ci tratta come sentiamo di non essere più”?, provando a tenere tutto insieme…
1) Cosa ci sta dicendo questa fatica?
Se non trattassimo la sensazione di fatica come un qualcosa da cui rifuggire ma la guardassimo come un elemento che può dirci qualcosa sui nostri movimenti, potrebbe essere proprio questa a darci un indizio di quanto siamo effettivamente diversi e diverse?
Certo che un cambiamento è un processo, ha molte sfumature, deve essere consolidato…. La difficoltà di ritrovare aspetti di sé al rientro in Italia in questo senso potrebbe raccontarci di qualcosa che stiamo ancora rinsaldando, di un movimento ancora in corso.
2) Se la fatica dell’altro non parlasse solo di noi ma anche di lui/lei?
Potrebbe essere che abbiamo molto a fuoco i nostri movimenti e cambiamenti, ma se provassimo a spostare lo sguardo alle altre persone alle loro idee, a ciò che loro conoscono…cosa potremmo dirci?
Anche gli altri hanno delle aspettative su di noi, e la distanza talvolta potrebbe far perdere dei pezzi rispetto ai movimenti e alle esperienze che abbiamo vissuto e che ci hanno modificati. E’ come se si ritrovassero fra le mani un navigatore che perde a tratti il segnale e lì, bontà loro, occorre andare “a memoria” sulle strade percorse in precedenza.
Riconoscere che questa sia anche una loro fatica potrebbe permetterci di scrollarci di dosso un po’ di sensi di colpa, come mettere un impermeabile quando piove a dirotto!
3) Non c’è qualcuno che ha ragione ma abbiamo tutti delle ragioni, ce le potremmo raccontare?
Quando gli altri fanno fatica a vedere un cambiamento in noi, tentennare nel mostrarglielo forse rende ancora più difficile farlo intercettare, banalmente perchè può creare confusione.
Dare tempo a chi abbiamo di fronte, fornendogli pian piano nuovi elementi su di noi quando ne intravediamo l’occasione, potrebbe mantenere aperta la possibilità di farsi conoscere…
Proviamo a fare una similitudine.
Quando sei partito ti sei trovato a raccontarti a chi hai incontrato perchè in quel momento hai vissuto circostanze che lo rendevano necessario, ce n’era bisogno, le persone non ti conoscevano dopotutto… può farci strano considerare questa prospettiva quando si parla di luoghi e persone che ci sono familiari, che sono “casa” ma.. se stesse accadendo un po’ la stessa cosa ?
4) Potresti trovare un porto sicuro?
Ci sono persone con cui questa sensazione di scomodità non è presente? Se sì, non sottovalutiamole! Trovare orecchie disponibili ad ascoltare e braccia accoglienti può essere una grande risorsa per portare avanti le nostre sperimentazioni e percepire continuità tra chi eravamo e chi siamo.
… che poi, in fondo, sempre di noi si tratta!
Ilaria Giuntini
Psicologa e Psicoterapeuta