La solitudine è una mescolanza di emozioni e sentimenti che talvolta non riusciamo identificare con chiarezza. Può anche farsi largo all’interno della vita di coppia, con campanelli d’allarme:
“Sei sempre al cellulare”
“Non ti interessa quello che ti dico”
“Mi ritrovo sempre a fare tutto da solo/a”
“Quando ti chiedo una cosa non sei mai disponibile”
“Non mi ascolti!” “Non mi capisci“
Sentirsi soli in coppia è doloroso: sentiamo che qualcosa manca, ma non riusciamo a vedere o capire bene di cosa si tratti. Questa sensazione può mandarci in confusione, ferirci, rattristarci. Talvolta arriviamo a deduzione affrettate: lui/lei non mi ama abbastanza, anche se in fondo sappiamo che non è quello il nocciolo della questione.
Eppure quella sensazione di solitudine rimane e la sentiamo. Ci sentiamo disorientati e ci chiediamo: di chi è la colpa di questa distanza emotiva, di questo distacco?
O ancora: Sono stato io a chiudermi senza accorgermene? O forse è stato lui/lei ad allontanarsi piano piano?
E insieme alla tristezza, sale la rabbia e la paura. Ci sentiamo bloccati, incastrati in faticose dinamiche ricorrenti che lasciano un senso di insoddisfazione. Capisco, non è affatto semplice… ma è proprio da questo punto che si può ripartire. Come? Vediamolo insieme!
Confrontiamoci
Quando ci sentiamo soli e distanti dal partner, consideriamo la nostra sensazione come un problema solo nostro, che ha poco a vedere con come sono fatta io e con come è fatto l’altro.
Proviamo invece a considerare che la nostra sensazione potrebbe avere a che fare con il modo in cui noi diamo significato alle relazioni e agli avvenimenti, e questo è in relazione alla nostra storia. L’altra persona, con la sua storia e i suoi significati, forse farà fatica a comprendere la NOSTRA solitudine e può dargli un altro nome (autonomia, indipendenza, giornata storta…). Magari anche l’altro/a si sente distante da noi, ma questo non coincide con l’intenzione di farci sentire soli.
Può essere che si sia creato un cortocircuito: il “non detto” o il “dato per scontato” ci sta facendo pensare che se ci sentiamo soli, l’altro lo sappia certamente o che se ne possa accorgere da miei comportamenti strani o diversi dal solito.
Lo so, ci piacerebbe tanto ma ricordiamoci: l’altro non è nella nostra testa…
Marta racconta: “Mi sento poco considerata perché il mio compagno parla sempre del suo lavoro, mentre io vorrei che lui fosse più attento, dolce, che ci dedicassimo del tempo, che parlassimo d’altro, di noi. Reagisco chiudendomi, sminuisco il suo parlare di lavoro, lo prendo in giro. Ma faccio fatica a dirgli cosa vorrei, mi aspetto che lui lo capisca da solo, dal fatto che mi sono chiusa.”
Per prima cosa, inviterei Marta ad ascoltare i suoi desideri, a non sentirsi sbagliata perchè sente il bisogno di amore, attenzioni ed ascolto. Non sta chiedendo molto! Ma proporrei anche a Marta di considerare la possibilità che l’altro non se ne sia nemmeno accorto, perchè appunto non è nella “sua testa”, preso dai suoi mille impegni.
Potrei essere io ad aiutarlo a comprendere come mi sento. In maniera semplice, chiara, mettendo al centro della conversazione il mio sentire: “io mi sento triste in questo momento” è diverso da “tu mi fai sentire triste”. Chi ascolta, si sentirà meno attaccato e forse mostrerà più apertura nei nostri confronti.
Ricordiamoci però che anche l’altro ha le sue emozioni che possono essere simili ma anche diverse rispetto alle nostre. Non diamole mai per scontato, meglio chiedere che darci una risposta da soli.
Proviamo anche a metterci nei panni dell’altro, pur restando sempre anche nei nostri. Facile? No, affatto!
Riflettendo
Ritorniamo alla sensazione di solitudine da cui eravamo partiti. Ci sono relazioni che finiscono a causa di incomprensioni che non vengono affrontate né vissute abbastanza come dovrebbero. Ci sono invece passaggi interiori che vanno attraversati per avere consapevolezza dei propri sentimenti e soprattutto di ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene, con noi stessi e con l’altro.
Lorenzo racconta: “Dopo anni di lavoro alle dipendenze, ho deciso di aprire un negozio di fiori tutto mio. Ho fatto i conti, ho condiviso il piano con la mia compagna e ho pensato che fosse arrivato il momento. Ho trovato l’immobile ed era già libero, pronto da ristrutturare…giusto qualche lavoretto, una pitturata, un po’ di arredamento. Mi sentivo pronto, entusiasta, ho preferito non aspettare che la mia compagna fosse libera per potermi dare una mano a sistemarlo, nè gliel’ho chiesto esplicitamente perché l’ho vista troppo impegnata con i nostri figli per potermi stare vicino. Così, ho usato le vacanze estive per ritinteggiare, ordinare mobili, fare gli ordini dei fiori, fare il cambio delle utenze, ecc. In men che non si dica il negozio era aperto e ho ricevuto un sacco di complimenti per il lavoro fatto; ma io mi sento triste, mi sento molto arrabbiato, sento che qualcosa mi è mancato. Forse avrei voluto che la mia compagna si accorgesse della mia fatica, delle preoccupazioni e mi offrisse il suo aiuto”
Il bisogno di Lorenzo di condividere la fatica o la preoccupazione che ci può essere dietro un avvenimento per lui importante è legittimo! Inoltre è bello sentire l’altro partecipe in ciò che ci piace e ci rende felici. La felicità è doppia se condivisa.
Il mio invito è accogliere questa sensazione provando anche a farsi domande nuove: Come mi sono sentito? Cosa è che mi ha fatto sentire solo? E anche: È stato difficile per me immaginare che la mia compagna potesse aiutarmi in un momento tutto mio? Perchè?
Propongo queste riflessioni perché credo possano essere di aiuto ad avere una maggior consapevolezza di se stessi e del modo di stare con gli altri nelle relazioni importanti. Proviamo a porci domande diverse per comprendere il nostro malessere, per dargli un senso diverso e allo stesso per dare spazio a ciò di cui sentiamo il bisogno per stare bene.
Riproviamoci insieme
Riattiviamo attraverso il dialogo (con noi stessi e con l’altro) una comunicazione un po’ “stanca”.
Possiamo ora assumerci il rischio di fidarci nuovamente dell’altro, di poterci ancora contare? È un percorso lento, senza corse o invasioni di campo, un tempo delicato, in cui si fa un passo avanti e uno indietro, e nuovamente uno avanti. Fino al punto in cui ci sentiamo di poter riprendere l’impresa comune di coppia, o fare anche scelte diverse.
Possiamo fare piccoli-grandi passi quotidiani raccontando per esempio al partner cosa viviamo dal punto di vista emotivo in una determinata situazione che ha creato disagio, a lavoro o con gli amici.
Talvolta nella coppia mancano le espressioni di affetto nei confronti dell’altro e anche l’interesse o la predisposizione a comprendere il suo mondo con i suoi occhi, in termini di sentimenti, problemi, esperienze. Non solo con la testa ma anche con il cuore.
Proviamo a uscire da una logica colpevolizzante, che incastra la coppia in dinamiche dolorose per entrambi.
Evitiamo di entrare in sterili litigate in cui ci lanciamo la colpa, come una palla che rimbalza ritornando sempre al punto di partenza. Non è una questione di colpe, ma di incomprensioni reciproche fra due persone che, pur volendosi bene, fanno fatica a portare avanti un equilibrio che forse ha bisogno di essere ritrovato, immaginato insieme, qualunque esso sia.
Nella stanza della terapia di coppia
Per una coppia, lo spazio terapeutico può divenire il luogo in cui prendersi cura del proprio noi, con rispetto e delicatezza, affrontando quelle incomprensioni e quelle distanze che ci fanno stare male.
Nella conversazione con il terapeuta, Marta e Lorenzo potranno esprimere il proprio punto di vista, le proprie emozioni e fatiche, in un contesto protetto dal rischio di “parlare da solo”, “non essere compreso”, “sentirsi squalificato o giudicato”. Per entrambi può essere un modo nuovo tanto di comprendere se stesso, quanto di ascoltare ciò che prova l’altro.
Nella mia pratica clinica ascolto storie di coppia interrotte, come se fossero due narrazioni diverse, non più convergenti ma contrastanti, apparentemente incompatibili. Il mio invito è immaginare e raccontare una storia diversa in cui i protagonisti non sono più solo ” IO o TU”, ma NOI. Una storia in cui chi la vive possa sentirsi compreso e considerato, senza dover rinunciare ad esprimere parti importanti di se stesso. Una storia di condivisione, intimità e nuove scoperte di sè e dell’altro: una storia scritta a due mani.
Valentina Forestiero
Psicologa e psicoterapeuta