Per molti espatriati la voglia di trasferirsi all’estero per cambiare vita, o per cercare condizioni lavorative migliori, porta con sé anche l’inevitabile scelta di lasciare la propria famiglia di origine: “mamma e papà, vado a vivere all’estero!”.
Scegliere di partire vuol dire fare i conti con il vissuto di separazione: si lasciano i legami familiari, gli amici e i parenti e anche il contesto culturale, sociale e linguistico di appartenenza. Ci sarà inevitabilmente un distacco, un “prima” e un “dopo” la partenza.
Vivere in un altro Paese implica conoscere una realtà diversa, fatta di stili di vita, cultura e tradizioni a volte molto distanti da quelle in cui si è cresciuti. Molte persone riescono a trovare il loro posto nel mondo proprio lontano dalla propria famiglia. Magari nella città d’origine si sentono stretti, con poca possibilità di esprimere se stessi ed invece nel nuovo ambiente possono finalmente costruire una nuova identità che permette loro di sentirsi più liberi.
La costruzione di una nuova “famiglia” (fatta di amici, compagni, colleghi…) può far sentire la persona in pace con se stessa, ma può anche generare sensi di colpa nei confronti dei genitori per il fatto di aver preso una strada diversa da quella che questi avevano immaginato. Sentirsi “a casa” con delle nuove persone, appartenere ad una nuova comunità può far vivere la relazione con i propri familiari in modo non sempre sereno. Potrebbe anche fare capolino la sensazione di sentirsi non del tutto riconoscenti: “nonostante tutti gli sforzi che i miei hanno fatto ho scelto un’altra strada”.
La strada che i genitori provano a tracciare per i propri figli riguarda spesso sia aspetti pratici (come ad esempio l’avere una casa), che aspetti più legati al percorrere determinati cammini, svolgere determinate professioni. Dal loro punto di vista equivale a “cercare la strada migliore per i propri figli”, ma non sempre questa corrisponde a quella che poi i figli desiderano davvero e non sempre la possibilità di vivere lontano viene contemplata.
Quando un figlio quindi decide di vivere all’estero, può essere importante far comprendere ai propri genitori come questa non rappresenti necessariamente una deviazione dall’idea originale. Può invece rappresentarne un’evoluzione che spesso proprio il contesto di origine ha contribuito a contemplare.
Associato al senso di colpa, talvolta subentra anche un senso di perdita. La vita a “casa” va avanti e le persone fanno esperienze diverse, crescono ed evolvono. Qualcuno può trovarsi a pensare “qual è ora il mio ruolo all’interno della famiglia?”. Può capitare, ad esempio, che l’idea di “figlio/a scapestrato/a” non sia più aderente alla realtà e che quindi le relazioni abbiano bisogno di rimodellarsi anche tenendo conto di questi cambiamenti: “non sono più la persona che va tirata fuori dai guai ma sento di fare scelte più responsabili”.
Può capitare di provare una sensazione di “estraniamento” nei momenti di rientro a casa, quando invece si ritrovano le stesse cose di sempre nel tornare in Italia, come tornare indietro nel tempo, con le stesse dinamiche in cui però non ci si riconosce più.
Per chi è expat non è sempre semplice trasmettere il proprio cambiamento interiore, rendendo partecipi i familiari e gli amici lontani. Questo può creare problemi di comunicazione e un progressivo allentarsi di alcune relazioni. Le persone cambiano con il tempo e non condividendo la quotidianità può succedere che alcune emozioni possano non essere vissute in modo diretto, che le ansie e le paure non siano immediatamente percepite o che nei momenti di gioia e felicità venga a mancare la vicinanza fisica, come ad esempio un abbraccio. Questi sentimenti sono legittimi e a volte non facili da gestire, ma vi invito a considerare la scelta di vivere all’estero come qualcosa che invece può arricchire il rapporto con i propri familiari.
Raccontare di sé, della persona che si è diventati e delle nuove relazioni costruite può diventare un buon modo per integrare il presente ed il passato: la condivisione di elementi della propria vita servirà per far capire chi siete, il senso delle vostre scelte e dei vostri obiettivi e sarà la bussola per un nuovo modo di vivere il rapporto. Questa condivisione potrà far sentire i genitori rassicurati e voi più vicini alla famiglia. L’interesse e la curiosità reciproca saranno degli ottimi compagni di viaggio.
È importante inoltre riuscire a tracciare una linea di connessione tra quel “prima” e quel “dopo” per riuscire a dare un senso personale di identità meno frammentato. Spesso un buon modo per ri-conoscersi è fare esperienze insieme, condividere momenti anche della quotidianità ed integrarli con le novità (ad esempio cucinare assieme un piatto del Paese in cui vi siete trasferiti).
Vi invito quindi ad unire i due mondi e condividere la vostra crescita con le persone care, per riuscire a sentirvi a casa anche in luoghi diversi.
Ilena Sardone
Psicologa e Psicoterapeuta