Avete mai sentito parlare di FOMO? Ve l’hanno nominata e vi siete ritrovati a googlare per capire cosa fosse? Un problema? Un nuovo disturbo? Qualcosa di cui preoccuparsi? Che cos’é?
FEAR OF MISSING OUT, queste sono le quattro parole inglesi che stanno dietro all’acronimo e che potremmo tradurre letteralmente in “paura di essere tagliati fuori”. Il termine FOMO, nello specifico, è stato coniato per descrivere la paura e/o l’ansia di perdersi esperienze piacevoli e di essere esclusi da eventi a cui alcuni amici stanno partecipando, associate alla percezione che altre persone si stiano divertendo di più o che, in generale, abbiano una vita più interessante.
Nulla di così nuovo, forse. Un sentimento antico che nasce dal confronto con chi ci circonda, che sia conosciuto e vicino, così come distante da noi e dal nostro stile di vita. Facile intuire perchè però, sebbene il confronto sociale non sia un fenomeno nuovo, il termine FOMO sia nato solamente negli ultimi anni proprio in concomitanza con la diffusione dei social media. Chi ne fa uso, infatti, sa come sia facile perdersi, facendo scorrere foto postate da amici o conoscenti, guardando storie, controllando bacheche, scorrendo la lista delle proprie notifiche. Insomma, un confronto “a portata di mano” in un mondo ormai sovrastimolato che, non so se ci abbiate mai pensato, credo possa avere un grande impatto sulle nostre vite.
Io, in questo articolo, parlo proprio di questo, dando voce ad alcune esperienze condivise da e con alcuni pazienti expat con i quali mi confronto quotidianamente. Sperando, come sempre, di lasciarvi nuovi spunti di riflessione.
DALLA PAURA DI ESSERE ESCLUSO…
“Sì, lo ammetto, ci rimango male quando vedo volti nuovi nelle foto postate dai miei più cari amici italiani. Mi domando chi siano e come siano. Simpatici? Coinvolgenti? Avranno preso il mio posto?Sembrano tutti così felici e a loro agio. Mi infastidisce l’idea che Luca e Dario si divertano senza di me”.
Paura di essere escluso, dimenticato, sostituito. Io tradurrei così le sensazioni riportate da questo expat che, complice la sintonizzazione perenne ed istantanea con il suo “mondo italiano”, sente in pericolo il senso di appartenenza a quel gruppo con il quale è cresciuto. Così non riesce a fare a meno di controllare i social per convincersi che non si stiano divertendo come un tempo o che gli eventi a cui partecipano non siano poi così interessanti. Peccato che venga smentito ogni volta. Quei sorrisi, quelle risate, quegli abbracci. Accidenti, sì che se la stanno spassando! E senza di lui!
È vero, gli amici in Italia si stanno divertendo, ma questo non significa che abbiano sostituito il loro amico o, peggio ancora, che lo abbiano dimenticato. Non si smette di far parte di un gruppo solo perchè si è lontani e nemmeno se in quel gruppo ci sono delle nuove entrate. Piuttosto, io credo, la lontananza potrebbe imporre una riflessione sulla nuova modalità di appartenenza, così come spingere a trovare un modo alternativo per continuare ad “esserci” anche a distanza. Un modo che faccia stare bene fuori dalla “grande vetrina” dei social. Attenzione, poi, a distinguere la nostalgia dalla gelosia: la prima potrebbe aiutare a rimanere connessi col gruppo e con i bei ricordi, la seconda potrebbe paralizzare in una spirale di pensieri negativi.
…ALLA PAURA DI PERDERSI QUALCOSA DI IMPORTANTE!
“Ieri sera ho perso tempo a ‘seguire’ su Instagram la serata delle mie amiche. Aperitivo, poi cena e infine dopocena in un locale che va di moda ora a Padova. Non sopporto l’idea di non esserci. Proprio io che amavo la vita mondana! Ho paura di perdermi qualcosa di importante”.
Immaginate di essere a Dublino. Sabato sera piovoso. La serata ideale per leggere un bel libro al calduccio sul divano, per godersi un po’ di tranquillità dopo una settimana frenetica tra lavoro, palestra, corso di inglese e aperitivi coi colleghi. Invece, per caso (o per sbaglio!), aprite Instagram e la vostra serata immediatamente termina lì. A guardare le storie pubblicate dalle amiche in Italia, a confrontarsi con loro, a preoccuparsi di perdere qualcosa di importante.
Quali suggerimenti a chi si riconosce in questa preoccupazione? Il primo è quello di “coltivare l’arte della discriminazione”. Non tutti gli eventi sono uguali, non tutte le feste a cui siamo assenti. E, soprattutto, non tutti i sorrisi che vediamo nelle foto postate sono validi indicatori di una situazione importante a cui non saremmo dovuti mancare. Sentirsi tristi di fronte alle foto del matrimonio di una cara amica forse non equivale al sentirsi tristi di fronte alle foto dell’aperitivo degli ex colleghi di lavoro. No? Prima di lasciare spazio alla vostra tristezza, chiedetevi che cosa vi faccia scatenare questa emozione. Il secondo suggerimento è quello di capire cosa sia replicabile e cosa no. Il matrimonio, per esempio, è un evento unico: o riesco ad essere presente o accetto di vivere anche la spiacevole sensazione di essere lontano e di non essere presente in loco. Ma l’aperitivo? Siamo sicuri che non sia replicabile? Siamo sicuri di non poter vivere qualcosa di simile anche dove viviamo ora? Ed è proprio quello di cui abbiamo bisogno? Perchè è possibile che, mentre scorriamo le foto, ci stiamo perdendo la nostra serata di relax. Quella sì che era importante per ricaricarsi dopo una dura settimana.
ANSIA “DA EXPAT”!
“Ho vissuto in una piccola città fino alla mia partenza per Londra. Non dico che fosse un posto senza stimoli, ma sicuramente non mi sono mai confrontata con così tante opportunità fino a quando non sono arrivata qui. Non ci sono abituata e la mia testa va in tilt ogni volta che devo scegliere. Sono sempre alla ricerca della scelta giusta o migliore. E sa come finisce spesso? Che non faccio nulla, così evito di sbagliare”.
Valeria ha 25 anni. Terminati gli studi universitari, si trasferisce in una grande città. Finalmente è all’estero. Quante volte si è immaginata quanto potesse essere bella la vita di un expat. E, in effetti, per un po’ ha avuto questa sensazione. Racconta poi, però, di essersi sentita travolta dalle numerose possibilità offerte da Londra e di non essere più riuscita a soddisfare quella “fame di esperienze”. Riporta la spiacevole sensazione di non sentirsi in grado di decidere cosa sia meglio per lei.
Eventi, manifestazioni, corsi, locandine, foto.. siamo bombardati sul Web e anche fuori. Difficile muoversi se si porta con sè la paura di sbagliare scelta o se si fa fatica a “lasciar andare”. Perchè ogni scelta, inevitabilmente, ne esclude altre che potrebbero risultarci attraenti proprio nel momento in cui le stiamo scartando. Fermiamoci un attimo, allora, per connetterci con i nostri bisogni ed interessi, con le nostre passioni, così come con le sensazioni positive che una scelta ci sta dando senza sapere ancora bene il motivo. Lavoriamo sulla consapevolezza del perchè di una scelta piuttosto che un’altra. Siamo proprio sicuri che… ogni lasciata sia persa? Facciamo attenzione, infine, a quanto ci possano influenzare quelle che pensiamo siano le aspettative degli altri. Mi è capitato di parlare con pazienti expat che, confrontandosi con amici e conoscenti, avevano tramutato la loro curiosità ed il loro interesse in aspettative. Con quale risultato? Quello di costruirsi l’immagine a cui aderire di un expat sempre felice, sorridente, pieno di cose da fare. Insomma, un expat perennemente in vacanza! Da qui, spesso, il bisogno di confrontarsi sui social, la sensazione di “non essere mai abbastanza” e, appunto, l’incapacità di scegliere per paura di perdersi (o pubblicare!) l’alternativa migliore.
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Per rispondere, quindi, alle domande iniziali, io penso che la FOMO sia un rischio e che sia vantaggioso conoscerne l’esistenza. Perché essere consapevoli in un mondo così carico di stimoli, potrebbe aiutare a non lasciarci travolgere da ciò che poi, a pensarci bene, non è per noi sempre così stimolante. E perché essere consapevoli, in fondo, credo significhi essere maggiormente in connessione con noi stessi in un mondo di iperconnessione tecnologica. Abbiamo bisogno di entrambe!
Stefania Bossetti
Psicologa e Psicoterapeuta