Fermare il tempo? Una sfida possibile!
14,4 bilioni… no, non è un jackpot! È la stima delle fotografie scattate nel 2021. Ma perché si fotografa? La fotografia permette di catturare l’istante, di vincere la partita contro il tempo. Sì, perché oggi il tempo è un po’ come guardare all’interno di un caleidoscopio: il presente in qualche modo si moltiplica, possiamo fare più cose contemporaneamente, comunicare con più persone che si trovano in più luoghi, il qui-ed-ora si è dilatato. Nello scorrere e nel sormontarsi di momenti, contesti e persone, la fotografia immortala l’unicità di un istante permettendo poi, riguardandola, di viverlo ancora una volta e un’altra volta ancora… ma in quell’istante, la fotografia, può dirci anche qualcosa d’altro: potrebbe addirittura raccontarci chi siamo! E allora proviamo insieme a creare un ponte tra fotografia e psicologia.
Come i parametri fotografici, così quelli personali
Le fotografie parlano e hanno molte voci. Parlano a noi, parlano di chi le scatta e anche di chi le guarda. Chi si intende di fotografia sa che per fare un bel lavoro bisogna avere obiettivi diversi in base al soggetto. Dal grandangolare al macro, a quello migliore per i ritratti. Cambiano tante cose, in base a cosa si vuole mettere in risalto. Gli obiettivi sono delle lenti attraverso cui guardare il mondo e selezionarne alcuni aspetti, proprio come facciamo con i nostri valori, con le nostre idee. Immaginiamo per esempio di utilizzare come unica focale il parametro “approvazione o critica”, ciò che gli altri faranno o diranno potrà essere visto in una modalità molto nitida ma poco “completa”. Ampliando la focale ci saranno molti più elementi a fuoco e potremmo introdurre aspetti contestuali e personali che daranno un significato meno netto a quanto detto o fatto, e forse più leggero da portare.
A noi psicologi, si sa, piace giocare con questi parallelismi e fare di una piccola cosa una metafora per ragionare su qualcosa di più grande. Il fatto è che le foto che scattiamo raccontano di noi e possono aiutarci a comprendere meglio anche quelle parti di noi stessi che ci sembrano confuse e lontane. E allora vedete che può esserci un forte legame tra psicologia e fotografia!
Chi c’è dietro l’obiettivo?
“Vorrei raccontarle una cosa, anche se non so bene cosa possiamo farcene…» mi dice Paolo un giorno. «Sistemando il computer ho trovato delle fotografie scattate qualche anno fa. Spesso mi prendevo una giornata e andavo in giro a fotografare, non so dire di preciso quando e perché io abbia smesso di farlo. Chissà poi perché fotografavo sempre paesaggi! Oggi non credo che avrei voglia di farlo, non mi direbbero molto».
Paolo, in passato, si sentiva poco a suo agio in mezzo agli altri; ne sentiva molto addosso lo sguardo e il giudizio, camminava per lo più con lo sguardo basso e sentiva un senso di libertà in mezzo alla natura. Fotografare paesaggi gli permetteva di catturare quella libertà, quello sguardo che poteva perdersi lontano.
«Nel paesaggio uno può vedere l’insieme, uno magari scorge un dettaglio o preferisce una parte a un’altra, ma è come se tutto avesse senso insieme senza mettere in risalto nulla». È così che Paolo sentiva di vivere, cercando di non dare nell’occhio.
“Oggi cosa vorresti fotografare invece?”
“Oggi mi fermerei a fotografare le persone… le loro espressioni, la direzione dei loro sguardi… forse è qualcosa che per molto tempo non mi sono preoccupato di fare, lasciare la scena all’altro intendo».
L’obiettivo della camera e lo sguardo di Paolo si sono spostati. Può lasciare all’altro il suo pezzo di storia, la sua parte nel gioco. Forse lo sguardo che Paolo sentiva tanto puntato addosso era soprattutto il suo. I timori erano troppo grandi per non pensarci.
Che obiettivi abbiamo in tasca?
Ognuno sceglie con che obiettivo fotografare. E questa scelta, che sembra essere fatta solo sulla base del soggetto della fotografia, di fatto tiene conto anche di qualcosa che parla profondamente di me. C’è chi le persone le fotografa perché non riesce a comprenderle e sente di potercisi avvicinare “rubandone” le espressioni; chi le fotografa perché ne capisce le emozioni da uno sguardo; chi nei panorami cerca il tutto-e-niente come Paolo, chi sente al loro interno l’eco di chi non c’è, chi in esso vede il messaggio di un mondo da proteggere, custodire ed invadere il meno possibile.
Non ci sono significati preconfezionati, nemmeno in due obiettivi simili; figurarsi in due persone. Riprendiamo l’esempio dei parametri: la lunghezza focale di un obiettivo può essere fissa o a intervallo, e c’è un range di valori per classificare un obiettivo come grandangolare, normale o tele. Ognuno sceglie quello con cui si trova meglio in base a preferenze personali (peso, compattezza, performance…); succede lo stesso con i nostri parametri! Il mio “accettazione-critica” potrà essere una focale fissa, applicato ad ogni situazione senza altre possibilità; un’altra persona potrà avere un range di valori più ampio e, per esempio, non percepirà come critica una battuta fatta con un tono ironico.
Henri Cartier-Bresson diceva che la fotografia è un modo di vivere. Aveva ragione. Ancor di più la fotografia è anche la possibilità di vivere in molti modi possibili, di scoprire quale obiettivo stiamo utilizzando, cosa raccontiamo di noi e quanto lasciamo parlare ciò che abbiamo davanti.
Prossimo obiettivo?
Ogni fotografo solitamente ha una lista degli acquisti in mente, obiettivi nuovi per catturare sempre meglio i suoi soggetti. La stessa cosa potremmo pensarla per il nostro sguardo: c’è qualcosa che ci piacerebbe catturare in modo diverso? Forse la fotografia può essere un buon punto di partenza: se guardate la vostra galleria, su quale soggetto vi soffermate di più? Cosa vorreste ritrarre meglio? Cosa raccontano di voi le foto che scattate? Ma soprattutto… c’è qualcosa che non vi sareste aspettati di incontrare?!
Margherita Pasi
Psicologa e Piscoterapeuta