“Chi è stato?!” – “È colpa sua!” – “Ma io non volevo…”
A chi non è capitato almeno una volta di trovarsi in una situazione in cui si parla di colpa? Da bambini se ne parla per lo più individuando il colpevole di una situazione, ossia il responsabile di un’azione che ha avuto conseguenze negative (ferito qualcuno, rotto qualcosa…). La colpa ha quindi un’accezione negativa, essere colpevole è qualcosa di brutto!
Da adulti si parla molto più di senso di colpa, una sensazione che ha a che fare con un’emozione non proprio piacevole, che ci fa stare un po’ scomodi. Il senso di colpa non ha sempre un campo di azione così ben definito come da bambini!
Quale senso di colpa?
Possiamo sentirci in colpa quando gli altri ci dicono che non li abbiamo feriti o quando non abbiamo rotto nulla; ci sentiamo in colpa in situazioni diverse che hanno a che fare con il nostro modo di essere, i nostri valori, i nostri propositi; possiamo anche non sentirci per nulla in colpa, sentendoci sereni nelle nostre azioni!
Se da bambini può essere facile rimediare alla propria colpa, di solito chiedendo scusa e facendo la pace, da adulti sembra invece più complesso trovare il modo per fare la pace con il proprio senso di colpa.
Il proprio senso di colpa, sì; perché non ce n’è uno uguale all’altro. Magari simile, certo, ma il senso di colpa è strettamente legato a chi sono io. E fino a che non ci sarà un’altra persona uguale identica a me, non ci sarà un senso di colpa uguale identico al mio. Perché dico questo? Perché spesso c’è la tentazione di trovare un rimedio, quella filastrocca della pace che come per magia faccia sparire il mio senso di colpa! Così uno prova a esercitarsi, a percorrere tutti gli step per liberarsene… ma poi rischia di sentirsi in colpa per non esserci riuscito! Cosa è mancato in questi step? Forse proprio il chiedersi: che rapporto ho col mio senso di colpa? Che senso ha per me? Proprio come la relazione con un collega con cui non sento molta sintonia e con cui condivido l’ufficio… Prima di cercare di liberarsene o rassegnarsi a conviverci, è necessario imparare a conoscerlo e riconoscerlo. Iniziamo a farlo insieme.
Proviamo con una metafora
Per spiegare un po’ meglio quanto appena detto, vi propongo questa metafora: immaginiamo il senso di colpa come un coltellino svizzero! Cosa caratterizza questo oggetto? E’ versatile, ha molti utilizzi, è personalizzabile… immaginiamo una versione composta da forbice, seghetto, lama di coltello, lente di ingrandimento e punteruolo. Ora andiamo a vedere quanti diversi usi si possono fare, fuor di metafora, del nostro senso di colpa!
- La forbice: rappresenta il caso in cui si ha la sensazione di non mantenere fede a un proprio valore, a dei propositi. Troviamo delle giustificazioni plausibili e magari comprensibili agli occhi degli altri, ma che non ci convincono del tutto; come se sentissimo di dover fare diversamente. Ci si sente così divisi tra i “dovrei” e gli “invece faccio; come quando invece di andare in palestra, ci accomodato sul divano a guardare l’ultimo episodio di una bella serie tv.
- Il seghetto: rappresenta il momento in cui sentiamo che il nostro volere non coincide con quello dell’altro, e sentiamo di dover scegliere tra uno dei due… chi metto da parte? Ci sembra di dover tagliare uno dei due rami: quello con la richiesta dell’altro. Può essere quella pizza desiderata ma poco gustata, perché sentiamo di averla imposta, di non aver ascoltato abbastanza il desiderio dell’altro, che magari avrebbe preferito il sushi.
- La lama del coltello: questo strumento possiamo utilizzarlo spesso nelle discussioni, quando ci sembra che l’altro non ci ascolti, non voglia capirci, o ci sta ferendo. Sono le cose che diciamo per far sentire l’altro in colpa, è “saper dove colpire” per zittire, per vincere quello scontro. A volte ci lascia però un sapore amaro in bocca.
- La lente di ingrandimento: rappresenta le situazioni in cui ci sentiamo responsabili di un’intera situazione, ma ci stiamo di fatto concentrando solo sul nostro (spesso piccolo) pezzettino. Può succedere quando accadono cose difficili da accettare e comprendere. Sono tutti i “se io avessi o non avessi fatto, detto…”.
- Il punteruolo: è la sensazione di aver ferito l’altro con un gesto o una parola; quei contesti in cui magari ci è “sfuggito” involontariamente un commento sul quale torniamo col pensiero, perché temiamo che qualcuno possa esserne risentito.
C’è dell’altro?
C’è un’altra cosa che tutti i coltellini svizzeri hanno ed è quel piccolo anellino che li rende portachiavi. Non è propriamente una loro funzione, ma mi riporta all’idea di appartenenza: a una dimensione di casa tra le tante funzioni di questo oggetto. E’ un po’ come se in tasca ci fosse bisogno di avere entrambi: casa e cassetta degli attrezzi! Se proviamo a parlare di senso di colpa non come di un problema che va risolto, ma come uno strumento che utilizziamo per comprendere diverse situazioni, qualcosa può cambiare! Possiamo magari accorgerci che nella maggior parte dei contesti impieghiamo sempre la stessa variante, rischiando così di trovarci con senso di colpa poco utile tra le mani.
Proviamo a domandarci com’è il nostro sentirci in colpa in situazioni diverse e cosa racconta questo di noi, per esempio: quanto peso diamo al giudizio degli altri? Quanto ci intestardiamo sulle nostre opinioni, anche a costo di sentirci poi in colpa? Davvero non ci sentiamo mai in colpa, in nessuna situazione? Ognuno potrà individuare situazioni e spiegazioni che lo hanno portato a vivere in questo modo il suo senso di colpa.
E se poi provassi a chiedervi: qual è il contrario del senso di colpa? Forse questo può dare qualche prospettiva in più: è l’arroganza? La supponenza? Il menefreghismo? Ha a che fare con le certezze o le sicurezze? Ragionando per assurdo, ma nemmeno troppo, in questi casi ci potrà sembrare quasi meglio sopportare un po’ di colpa che apparire arroganti/menefreghisti e così via. Ci si sta scomodi eh, non si dica il contrario! Un po’ come se si dovesse scegliere il male minore…
Buone notizie
E quindi? Tranquilli, l’alternativa c’è! È possibile trovare un modo che tenga insieme i propri valori e i propri timori con una maggior leggerezza. Non è così semplice e non c’è una ricetta, ma questo perché ognuno deve trovare la propria e personale alternativa! E’ possibile avviarsi alla ricerca di questa strada nella stanza della terapia, un po’ come se ognuno fosse lo specialista del proprio coltellino svizzero e ci si trovasse in un dialogo del tipo: mi racconti, quel pezzo lì a cosa potrebbe servire? L’ha usato in qualche occasione? E come si è sentito? E poi, insieme, si provassero ad immaginare situazioni, implicazioni, scenari e via via si esplorasse questo coltellino come non si era mai fatto prima! Innanzitutto per ritrovarvi ben strette le chiavi di casa, e poi… beh, a ciascuno il suo finale!
Margherita Pasi
Psicologa e psicoterapeuta